Suggestioni offerte da un viaggio negli Stati Uniti
Esistono pochi posti al mondo capaci di emozionare come il Grand Canyon. A meno che non siate indiani d’America, abituati a contemplarne la maestosità, non potete non provare un senso di vertigine, una sensazione di timore reverenziale di fronte a un simile spettacolo naturale. In altre parole, se non si è nati in questo luogo non se ne può comprendere il senso profondo, e forse neanche immaginarne la bellezza, perché qui colori, forme e dimensioni sono al di fuori di quanto si riesce normalmente a immaginare. Tra le tante fotografie offerte da un viaggio negli Stati Uniti, il Grand Canyon rappresenta quella della natura che trionfa, ma non in modo violento o irruento, se si escludono i tratti del fiume Colorado in cui le rapide sono più impetuose. Terra, aria, acqua, fuoco e scorrere del tempo, offrono allo sguardo umano uno scenario che si modifica costantemente, con i suoi 450 km di lunghezza, 30 di larghezza e ben 1600 di profondità.
Le origini del Grande Abisso
Molto prima che geologi e scienziati fornissero le loro spiegazioni, pubblicando volumi e studi sul canyon, le tribù indiane presenti in questi luoghi avevano già dato la loro interpretazione sulle origini del Grande Abisso. Tramandate da saggi e sciamani, di generazione in generazione, oggi quelle interpretazioni sono miti e leggende, ed è ascoltandoli che le popolazioni indigene sono sopravvissute per secoli alle durissime condizioni ambientali del Grand Canyon, riuscendo (o credendo fortemente di poterlo fare) a dominare le forze della natura. Ute, Havasupai e Hopi sono i nomi di alcune delle tribù che hanno reso questi luoghi leggendari. Nei loro racconti mito e realtà si intrecciano e queste storie, qualunque sia il destino del Grand Canyon, non smetteranno mai di farne parte.
Sacralità dell’acqua
Se per le popolazioni dell’India tutta la vita, terrena e spirituale, ruota attorno al fiume Gange, per gli indiani d’America tutto ruota attorno al Colorado e alle sue creature, animali e naturali. Le acque del fiume secondo le tribù indiane conducevano alla terra promessa, e le sue divinità andavano placate offrendo frutta, tabacco e granoturco. Le rocce vegliavano immobili sulla tribù, proteggendo le vite dei suoi componenti e assicurando buoni raccolti di mais, zucche e fagioli. Come nel caso dei due pilastri Wigeleeva che abbiamo fotografato visitando l’Havasu Canyon, in cui si respira un’atmosfera di assoluta sacralità. È stata una delle suggestioni più belle offerte dal nostro viaggio negli Stati Uniti, e abbiamo scoperto che ancora oggi qui vive una piccola e isolata tribù indiana: gli Havasupai. Gli abitanti del villaggio si tramandano da secoli la leggenda di Packithaawi, per cui il fiume sarebbe ciò che rimane di un’inondazione che un tempo ricopriva tutta la terra. Secondo il mito l’inondazione cessò grazie all’intervento dell’eroe Packithaawi, che con un coltello e una clava colpì la terra creando il Grand Canyon. Un mito degli Ute, invece, racconta che il grande fiume è stato creato dal dio Tavwoats per nascondere il sentiero che conduce alla Terra della Gioia e impedire agli infelici di lasciare la vita terrena.
Gli uomini serpente
La tribù degli Hopi credeva che il fiume scorresse in profondità fino all’oltretomba, e i suoi componenti si tramandano da secoli una leggenda che spiega la loro discendenza dalla tribù dei serpenti: l’indiano Tiyo decise di scoprire dove finiva la grande acqua e si chiuse dentro un tronco cavo, lasciandosi trasportare fino al mondo dell’aldilà. Qui Tiyo incontrò gli uomini serpente e ne sposò una vergine, portandola con sé al villaggio e generando figli-serpente. Gli abitanti, terrorizzati, cacciarono via i figli-serpente e la loro madre attirando su di se l’ira degli dei e una devastante siccità. La leggenda vuole che gli Hopi si siano salvati dalla morte solo riammettendo i serpenti, che da allora sono l’elemento più importante della tradizionale danza della pioggia Hopi.
Il ragno e il coyote
Per quanto riguarda gli animali sacri, il ragno e il coyote hanno ancora oggi un particolare ruolo di guide spirituali: si dice che il primo da i suoi consigli sussurrandoli dietro l’orecchio dell’ascoltatore, mentre il secondo conosce le leggi del giorno e della notte e ne fa dono solo agli uomini più meritevoli. La comunicazione con gli spiriti guida, tuttavia, non è mai stata facile, per questo gli indiani, quando i sogni e l’osservazione delle stelle falliscono, ricorrono all’uso della lophophora, una pianta allucinogenasimile a un piccolo cactus, meglio conosciuta come peyote (in lingua Azteca carne degli dei), carpendo così i più profondi segreti della vita. La tribù dei Navajo ha un detto: il Grande Abisso rivela all’uomo lo sguardo del cuore. Se siete in cerca di risposte, scoprirete che quelle offerte da un viaggio negli Stati Uniti non sono tutte visibili agli occhi.